13 aprile 2012

La forza delle parole: discorsi celebri

I discorsi di Robert Kennedy 
Robert Francis Kennedy, chiamato Bob o affettuosamente Bobby (Brooklyn, 20 novembre 1925 – Los Angeles, 6 giugno 1968), è stato un politico statunitense, fratello del presidente U.S.A. John Fitzgerald Kennedy. Oppositore della guerra in Vietnam e fervente sostenitore dei diritti civili, si presentò alle elezioni presidenziali del 1968 come candidato del Partito Democratico. Morì in seguito ad un attentato all'indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie in California e Dakota del Sud.
Discorso sul PIL
"Il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta" (18 marzo 1968)
I limiti del PIL nelle illuminanti parole di Robert Kennedy tratte dal suo discorso del 18 marzo 1968, tenuto alla Kansas University.

Discorsi in morte di Martin Luther King
Bob Kennedy pronunciò due celebri discorsi in occasione dell'assassinio di Martin Luther King avvenuto il 4 aprile 1968, pochi mesi prima che lo stesso Kennedy trovasse la morte per mano di un attentatore e quattro anni dopo il riconoscimento del premio Nobel per la pace al pastore protestante per il suo impegno a favore dei diritti civili dei neri attraverso la resistenza non violenta.

 "Ciò di cui abbiamo bisogno non è odio, non è violenza e rifiuto della legge, ma amore, saggezza, compassione" 
(Indianapolis, 4 aprile 1968) 
Bob Kennedy annuncia la morte di Martin Luther King.

Il 4 aprile 1968, giorno dell'assassinio di Martin Luther King a Memphis, Robert Kennedy, in corsa per la presidenza, deve parlare in un sobborgo afroamericano di Indianapolis. I suoi assistenti, temendo lo scoppio di disordini e violenze, gli consigliano di annullare il suo intervento, ma Kennedy decide di andare e di dare lui stesso la notizia, improvvisando un discorso destinato a diventare storico. 

 "Coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, e condividono con noi lo stesso breve istante di vita" 
(Cincinnati, 5 aprile 1968)
Discorso sulla violenza pronunciato il 5 aprile 1968 a Cincinnati, il giorno dopo l'assassinio di Martin Luther King.
  

"I have a dream" 
(Martin Luther King, Washington, 28 agosto 1963)

Lo stesso Martin Luther King il 28 agosto 1963 aveva pronunciato il suo più memorabile discorso, considerato il più influente discorso politico dell'America contemporanea. 
Il discorso fu pronunciato di fronte a una folla di 250.000 persone al Lincoln Memorial di Washington, in occasione della storica "marcia per lavoro e libertà" organizzata per chiedere l'approvazione della legge per la parità dei diritti civili per bianchi e neri:



L'evento fu un successo e rappresentò il trionfo dei metodi non violenti di King, tanto che l'anno dopo, nel 1964,  fu approvato il Civil Rights Act sul diritto di voto e a King fu assegnato il premio Nobel per la pace.
Martin Luther King (Atlanta, 15 gennaio 1929 - Memphis, 4 aprile 1968) è stato un pastore protestante, politico e attivista, leader dei diritti civili, appassionato fautore della resistenza non violenta. Fu ucciso da un colpo di fucile che lo raggiunse sul balcone di un motel di Memphis.

 
"Stay hungry, stay foolish" 
(Steve Jobs, Stanford, 12 giugno 2005)

Steven Paul Jobs (California, 1955-2011) è stato un imprenditore, informatico e inventore statunitense. Cofondatore di Apple, è noto al grande pubblico per aver introdotto il primo personal computer con mouse e per prodotti di successo, quali Machintosh, iPad, iPod, iPhone.
Il 12 giugno 2005 Steve Jobs rivolse agli studenti neolaureati della prestigiosa università di Stanford un celebre discorso che è stato definito il suo testamento alle generazioni future.
 



La forza delle parole, il coraggio degli scrittori


"Il potere ha paura delle parole" 

(Roberto Saviano)
In una libreria di Bari Roberto Saviano racconta la forza delle parole e la magia dell'empatia suscitata dalla lettura attraverso la storia di due coraggiose scrittrici russe di nome Anna: la poetessa Anna Achmatova (1889-1966), vittima della censura nella Russia di Stalin, e la giornalista e attivista per i diritti umani Anna Politkovskaja (1958-2006), vittima dell'autoritarismo nella Russia di Putin.


"Con la fantasia rompo i muri della mia galera" 
(Ahmet Altan)

Ahmet Altan è un giornalista e scrittore turco, nato ad Ankara nel 1950. Ex direttore del quotidiano "Taraf", critico nei confronti del presidente Erdogan, è stato liberato di recente dopo essere stato incarcerato nel suo paese dal 2016 per reati di opinione. Nel 2018 è stato condannato all’ergastolo al termine di un processo-farsa con l’accusa di aver diffuso “messaggi subliminali” a favore del tentato colpo di stato del luglio 2016. Per la sua liberazione, avvenuta nell'aprile 2021, si sono mobilitati scrittori e intellettuali in tutto il mondo. I suoi romanzi e saggi hanno venduto milioni di copie, e sono stati premiati in Turchia e all’estero. 
Ecco un suo articolo scritto durante la detenzione nel 2017:
«Sì, sono detenuto in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla. Sì, mi trovo in una cella dove la porta viene aperta e chiusa con uno sferragliare di chiavi. Sì, ricevo i miei pasti attraverso un buco in mezzo alla porta. Sì, anche la parte superiore del piccolo cortile lastricato dove cammino su e giù è chiusa da gabbie d’acciaio. Sì, non mi è permesso di vedere nessuno a parte il mio avvocato e i miei figli. Sì, mi è vietato perfino inviare una lettera di due righe ai miei cari. Sì, ogni volta che devo andare in ospedale tirano fuori delle manette da un mucchio di ferri e me le mettono ai polsi. Sì, ogni volta che mi portano fuori dalla mia cella gridano «alza le braccia, togliti le scarpe» e me lo urlano in faccia.
Tutto questo è vero, ma non è l’intera verità. Nelle mattine d’estate, quando i primi raggi di sole passano attraverso le nude finestre a sbarre e colpiscono il mio cuscino come delle lance scintillanti, sento i canti giocosi degli uccelli di passaggio che hanno fatto il loro nido sotto le grondaie del cortile. Vivo con la sensazione di abitare ancora in quella casa con giardino dove ho trascorso la mia infanzia.
Quando mi sveglio con la pioggia autunnale che colpisce le sbarre della finestra, con la furia dei venti del nord, comincio la giornata sulle rive del Danubio in un albergo con delle torce sulla facciata che vengono accese ogni notte. Quando mi sveglio con il sussurro della neve che si accumula tra le sbarre della finestra d’inverno, inizio la giornata in quella dacia con una finestra sul davanti dove si rifugiò il dottor Zivago. Finora, non mi sono mai svegliato in prigione – nemmeno una volta. Di notte, le mie avventure sono ancora più cariche di azione. Giro tra le isole della Thailandia, gli alberghi di Londra, le strade di Amsterdam, i labirinti segreti di Parigi, i ristoranti sul lungomare di Istanbul, i piccoli parchi nascosti tra le strade di New York, i fiordi della Norvegia, le piccole città dell’Alaska con le loro strade sepolte dalla neve. Mi potete incontrare lungo i fiumi dell’Amazzonia, sulle rive del Messico, nelle savane africane. Parlo tutto il giorno con persone che nessuno vede o sente, persone che non esistono e non esisteranno fino al giorno in cui le menzionerò. Le ascolto mentre parlano tra di loro. Vivo i loro amori, le loro avventure, le loro speranze, le loro preoccupazioni e le loro gioie. A volte rido mentre cammino in cortile, perché mi capita di sentire le loro conversazioni piuttosto divertenti. Poiché non voglio metterli sulla carta in prigione, incido tutto ciò in qualche angolo della mia mente con l’inchiostro scuro della memoria. So che sarò un uomo schizofrenico finché queste persone rimarranno nella mia mente. So anche che sono uno scrittore quando queste persone si ritrovano in certe frasi sulle pagine di un libro. Mi piace fare avanti e indietro tra schizofrenia e scrittura
Mi libro come fumo e lascio la prigione con le persone che esistono nella mia mente
Forse hanno il potere di imprigionarmi, ma nessuno ha il potere di tenermi in prigione.
Sono uno scrittore. Non sono né dove sono né dove non sono. Ovunque mi rinchiudano, viaggerò per il mondo con le ali della mia mente infinita. Inoltre, ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare, molti dei quali non ho mai conosciuto. Ogni occhio che legge quello che ho scritto, ogni voce che ripete il mio nome, mi tiene per mano come una piccola nuvola e mi fa volare sulle pianure, le sorgenti, le foreste, i mari, le città e le loro strade.
Mi ospitano silenziosamente nelle loro case, nelle loro sale, nelle loro stanze. Viaggio in tutto il mondo nella cella di una prigione.
Ho un’immunità protetta dall’armatura di acciaio dei miei libri. Scrivo nella cella di una prigione. Ma non sono in prigione. Sono uno scrittore. Non sono né dove sono né dove non sono. Mi si può imprigionare, ma non tenermi in prigione. Perché, come tutti gli scrittori, possiedo una magia. So attraversare i muri con facilità.
Ridotto da Da "La Repubblicadel 27 settembre 2017 (traduzione di Luis E. Moriones)



In relazione al tema "La forza delle parole" vedi anche il post "Il mondo salvato dai ragazzini" (discorsi di Malala Yousafzai e Greta Thunberg) e quello sulla Costituzione italiana (discorso di Piero Calamandrei) nella sezione "Cittadinanza e Costituzione".


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