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10 ottobre 2015

Letteratura e altre arti

In questo post:
  • Letteratura e arte. Dante per immagini (Francesca e Paolo, il Conte Ugolino)
  • Letteratura e arte. Caravaggio e gli scrittori: rivoluzionari a confronto
  • Letteratura e natura. Piccolo omaggio letterario (e non solo) agli alberi
  • Link ad altri articoli (letteratura italiana e latina)

LETTERATURA E ARTE: DANTE PER IMMAGINI
Francesca e Paolo
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto V)
La celeberrima coppia di amanti protagonista del canto V dell'Inferno è il soggetto dantesco che ha riscosso maggiore fortuna nella tradizione iconografica occidentale, stimolando la fantasia di numerosi artisti, in particolare nell'Ottocento romantico.
La varietà delle scelte figurative dell'episodio è legata al diverso momento della tragica vicenda a cui i diversi artisti si sono ispirati: in alcuni casi la vicenda terrena (il momento della lettura; il momento del bacio, spiato o meno dal marito di Francesca; l'uccisione dei due amanti), in altri quella ultraterrena (il colloquio con Dante; le due anime unite). In quest'ultimo caso è affascinante confrontare le scelte interpretative compiute dagli artisti per rendere "visivamente" la scena e rispondere agli interrogativi posti da questa trasposizione. Quale atmosfera creare e su cosa concentrarsi: sulla bufera infernale, sulla "leggerezza" e delicatezza dei due amanti o sulla passione, sul dolore?

La vicenda ultraterrena di Francesca e Paolo 
Priamo della Quercia, Virgilio indica a Dante le anime dei lussuriosi; Virgilio parla con Francesca, mentre Dante sviene, 1444-1450, miniatura della Divina Commedia di Dante, codice Yates-Thompson 36, Londra, The British Library

La miniatura raffigura due momenti distinti, segnalati dalla ripetizione dei protagonisti.
Nel primo, Virgilio, vestito di rosso, mostra a Dante le anime travolte dalla bufera infernale, personificata dal volto demoniaco alle loro spalle nell'angolo in alto a sinistra. La schiera dei dannati è guidata da Paolo e Francesca, la cui grazia cortese è sottolineata dalla lunga treccia di capelli biondi. Nel secondo momento la lettura procede da destra a sinistra. È Virgilio, anziché Dante, a rivolgersi ai due amanti. Chiude il racconto la figura di Dante, che, chino e con gli occhi chiusi, sviene al centro della scena cadendo "come corpo morto cade".

William BlakeIl cerchio della lussuria: Paolo e Francesca, 1824-1827, Birmingham, City Museum

Blake rappresenta la vicenda ultraterrena dei due amanti, puniti nel cerchio dei lussuriosi, dove sono travolti da una incessante bufera di vento, così come in vita si sono lasciati travolgere dalla forza irrazionale della passione. Blake raffigura il momento finale dell'episodio, quando Dante, sopraffatto dalla commozione, cade a terra svenuto "come corpo morto cade". L'artista enfatizza la rappresentazione del vortice delle anime trascinate dal turbine di vento. Paolo e Francesca sono le due figure al centro, in secondo piano, risucchiate dal vortice, dopo la breve tregua durante il colloquio con Dante, che giace a terra privo di sensi ai piedi di Virgilio.
Ary Scheffer, Paolo e Francesca, 1835, Londra, Wallace Collection

Il dipinto dell'artista olandese raffigura Dante e Virgilio davanti alle due anime abbracciate, le cui figure spiccano su un cupo sfondo nero. Tutta l'attenzione del pittore e quindi dello spettatore è concentrata sui due amanti, mentre i due poeti sono relegati in una posizione marginale e buia. L'artista lascia affiorare un erotismo dolce e disperato attraverso il luminoso candore dei corpi abbracciati e alcuni dettagli di suggestiva ambiguità in cui amore e morte si fondono, come l'intensa espressione dei volti in cui si può leggere sia dolore sia piacere, e il particolare del telo bianco, che allude sia al lenzuolo del talamo che al sudario della morte.
Gustave DoréPaolo e Francesca, 1861-1868

L'illustratore francese deve la sua notorietà soprattutto alle 138 incisioni realizzate tra il 1861 e il 1868 come corredo iconografico a un'edizione dell'opera dantesca pubblicata nel 1870. Per l'episodio di Paolo e Francesca l'artista sceglie di raffigurare le due figure abbracciate in volo. I due corpi, avvolti da un lenzuolo, ricordano la forma di un cuore pulsante e di una colomba: Paolo e Francesca aleggiano verso Dante come “colombe dal desio chiamate”.

Auguste Rodin, Paolo e Francesca, dettaglio della Porta dell'Inferno, 1880-1917

Quando nel 1880 all'artista francese Rodin fu commissionata dal ministro della Pubblica Istruzione francese la Porta dell'Inferno (una porta bronzea, che doveva rappresentare alcuni episodi della Divina Commedia), l'artista volle inserire la coppia di Paolo e Francesca. Lo scultore francese dedicò numerosi studi a questo soggetto, in cui fuse i due corpi avvinghiati. La posizione aerodinamica delle figure ricorda la similitudine dantesca con le gru in volo: "E come i gru van cantando lor lai,/faccendo in aere di sé lunga riga,/così vid'io venir, traendo guai,/ombre portate da la detta briga".

Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1909, Ferrara, Civica Galleria d'Arte Moderna

L'artista italiano dedicò due versioni alla storia di Francesca e Paolo. Nel quadro del 1909 Previati scelse l'ambientazione ultraterrena: i corpi nudi di Paolo e Francesca sono sinuosamente trascinati dal vento e animati da una vibrante energia.

Umberto Boccioni, Il sogno o Paolo e Francesca, 1908-1909, Milano, collezione privata

Nella composizione del celebre pittore futurista il gruppo centrale dei due amanti spicca con i suoi colori caldi. Le figure abbracciate, sospese, come in levitazione, prive di contorni ben definiti, assumono una dimensione onirica e, perdendo qualsiasi fedeltà iconografica e descrittiva, diventano una sorta di immagine simbolica dell'amore. L'emozione travolgente dei due cognati è espressa attraverso la sinuosità delle linee ondulate dei capelli, dei corpi e della nube che avvolge i due amanti, isolandoli dallo spazio circostante. L'abbandono all'intensità del desiderio è reso dalla testa reclinata di Francesca e dalla sospensione delle estremità, che sembrano prive di forza. La leggerezza dei corpi si contrappone allo scenario di desolazione e di morte (nella parte inferiore compaiono dei cadaveri affioranti dalle acque) e come una diagonale le due figure spezzano il cupo paesaggio infernale liberando un'energia luminosa e calda che neanche la morte ha potuto cancellare.


La vicenda terrena di Francesca e Paolo
Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca, 1863-1864, Monaco, Schack Galerie

L'opera raffigura i giovani all'aperto, in un parco dalla natura rigogliosa, mentre sono assorti nella lettura del romanzo cavalleresco, prima del fatidico bacio. L'interpretazione che Feuerbach, pittore tedesco neoclassico, offre del soggetto è caratterizzata da un tono composto e idilliaco. Il candore del volto e dell'abito di Francesca sembra alludere all'ingenuità della ragazza e all'inconsapevolezza di quanto sta per accadere ("soli eravamo e senza alcun sospetto"), mentre il rosso intenso dei boccioli di rosa e del copricapo di Paolo suggerisce la passione che sta per sbocciare tra i due giovani.

Amos Cassioli, Il bacio, olio su tela, 1870
La scena è incentrata sul bacio appassionato che si scambiano i due giovani cognati, seduti l’uno accanto all’altra, soli all'interno della sala. Francesca si abbandona al bacio appassionato che Paolo le dà sulle labbra, sfiorandole con le dita il mento. La spinta improvvisa e irresistibile al bacio si percepisce dal libro caduto a terra: "Quel giorno più non vi leggemmo avante".

 
Auguste Rodin, Il bacio, 1886-1898, marmo, Parigi, Musée Rodin

Rodin inizialmente pensò di raffigurare nella Porta dell'Inferno la coppia di Paolo e Francesca nell'atto di baciarsi, per illustrare il verso dantesco "la bocca mi baciò tutto tremante". Successivamente decise di non inserire il gruppo nella Porta perché troppo statico e difficile da armonizzare con le altre figure che fluttuavano nel vuoto. La scultura originaria non fu però abbandonata e fu esposta, con il semplice titolo Il bacio, in una mostra tenuta nel 1887 presso la Galerie Georges Petit. Il successo del gruppo procurò a Rodin la commissione di una versione ingrandita in marmo (quella della foto) e confermò la sua fama di scultore capace di trattare i temi amorosi con una intensità e tragicità insolite per la società di fine Ottocento.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Paolo e Francesca, 1834 ca., Glens Falls (N.Y.), Hyde Collection

Ingres coglie il momento del bacio e inserisce la figura del marito tradito, Gianciotto Malatesta, intento a spiare i due amanti. La scena, che ha un'impostazione teatrale, è improntata ad una raffinata e delicata stilizzazione, evidente nell'atteggiamento pudico di Francesca e nel casto, quasi infantile bacio di Paolo sulla guancia della donna, molto distante dal verso dantesco "la bocca mi baciò tutto tremante".

Johann Heinrich FüssliPaolo e Francesca, 1786, olio su tela, Aarau (Svizzera), Aargauer Kunsthaus

La tela è incentrata sul momento in cui i due giovani amanti sono sorpresi da Gianciotto mentre si baciano. L'artista ha interpretato l'episodio come una scena galante dal carattere teatrale, in cui l'espressività dei volti e la gestualità dei personaggi fanno emergere passioni forti e contrastanti. Un potente chiaroscuro contribuisce ad accentuare la drammaticità dell'immagine.

Alexander Cabanel, Morte di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, olio su tela, 1870, Parigi, Musée D'Orsay

Il pittore francese Cabanel ritrae i due amanti appena uccisi da Gianciotto, la cui inquietante figura si intravede a destra nella penombra, mentre si affaccia sulla scena scostando il tendaggio e ancora impugna la spada del delitto. Francesca è riversa su una panca, Paolo è sul pavimento di marmo, con il busto poggiato alla panca e la testa vicina quella dell'amata. A terra, accanto al lussuoso panneggio dell'abito della donna, è caduto il libro "galeotto", ancora aperto sulle ultime pagine lette. L'eleganza e la raffinatezza degli arredi e degli abiti indossati dai personaggi richiamano la raffinata cultura di  Francesca, che emerge anche dal dialogo con Dante nel canto V.

Gaetano PreviatiPaolo e Francesca, 1887, Bergamo, Accademia Carrara.

Quella del 1887 è la prima versione dedicata al soggetto dall'italiano da Gaetano Previati. L'artista sceglie di rappresentare con grande realismo il momento più tragico della vicenda terrena di Paolo e Francesca: i due corpi, trafitti dalla stessa spada, che li unisce in un macabro amplesso, giacciono accasciati contro un letto che occupa quasi tutto lo spazio della tela. L'ambientazione, gli abiti contemporanei e il taglio orizzontale della scena accentuano la drammaticità dell'episodio.

Fonti:
Francesca Pellegrino, Federico Poletti, Episodi e personaggi della letteratura, Electa, 2004.
Flavio Fergonzi, Auguste Rodin, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2005.



Il conte Ugolino
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXXIII)
La concretezza visiva e l'efficacia descrittiva dello stile dantesco hanno da sempre ispirato le arti figurative, a cominciare dalle innumerevoli illustrazioni realizzate per accompagnare le edizioni della Commedia che si sono succedute nei secoli. Uno degli episodi che, insieme a quello di Paolo e Francesca, ha goduto di una straordinaria fortuna iconografica, anche in questo caso principalmente in epoca romantica, è la tragica storia del conte Ugolino, narrata da Dante nel canto XXXIII dell'Inferno. Pittori e scultori hanno scelto di rappresentare il dramma terreno di Ugolino, non l'incontro con Dante. La scelta più ricorrente è quella di raffigurare la prigionia condivisa dal conte con i figli. La cura nella ricostruzione dell'ambiente e l'attenzione all'espressività dei volti e dei gesti delle figure accomuna queste opere.
 
Joshua Reynolds, Ugolino e i figli, 1773, Knole (Inghilterra), National Trust.
Sul retro del dipinto compaiono i versi danteschi: "Io non piangea, sì dentro impetrai:/piangevan elli; e Anselmuccio mio/disse: "Tu guardi sì, padre! Che hai?/Perciò non lagrimai né rispuos'io/tutto quel giorno né la notte appresso,/in fin che l'altro sol nel mondo uscìo". Reynolds trascura l'ambientazione per concentrarsi sull'espressione patetica dei volti, sull'aspetto emaciato delle figure: all'espressione quasi inebetita e impietrita di Ugolino fanno da contrappunto i volti dei figli che "gridano" aiuto, disperazione, sfinimento. 
Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella torre, 1820 circa, Brescia, Musei Civici d'Arte e Storia.
Anche Diotti raffigura Ugolino che guarda fisso nel vuoto in silenzio con il cuore impietrito. La composizione è organizzata sulla figura del conte, quasi un monumento di fermezza morale e di contegno nel dolore; le figure dei ragazzi con il loro aspetto grazioso e delicato sono un contorno quasi decorativo. 



Eugène Delacroix, Ugolino e i suoi figli, 1856-1860, Copenaghen, Ordrupgaardsamlingen.
L'artista francese ha rappresentato più volte il soggetto, dedicando cura allo spazio della prigione e agli effetti chiaroscurali. In questa versione Delacroix ha scelto di raffigurare il momento in cui, al quarto giorno di digiuno, uno dei figli di Ugolino, Gaddo, poco prima di morire, si getta ai piedi del padre chiedendogli: "Padre mio, ché non m'aiuti?".
Tutte le figure, con la loro posizione e i loro atteggiamenti, più che con le espressioni del viso, comunicano disperazione e sofferenza.
Gustave Doré, Il conte Ugolino, 1870.
Le incisioni del francese Gustave Doré sono tra le illustrazioni più celebri del poema dantesco. Questa incisione, posta a commento del v. 64 ("Queta'mi allor per non farli più tristi"), raffigura al centro della composizione Ugolino circondato dai figli, stremati dalla fame. La figura del conte accentra su di sé l'attenzione dello spettatore anche perché è illuminata dai deboli raggi di luce che penetrano dalla finestra. Il personaggio, ammutolito dal dolore, chiuso in se stesso, con gli occhi bassi, comunica l'impotenza di un padre di fronte allo strazio dei figli, di cui non riesce a sostenere lo sguardo. I figli, al contrario, rivolgono i loro sguardi imploranti e disperati verso il padre; le mani sul ventre di due dei ragazzi alludono alla morsa della fame che li stringe. Uno è già riverso a terra, mentre gli altri tre sono in procinto di perdere le ultime forze. I gesti e le espressioni dei volti conferiscono intensa drammaticità e realismo all'interpretazione di Doré.



Jean-Baptiste Carpeaux, Ugolino, 1862, Parigi, Musée d'Orsay.
Lo scultore francese ha voluto immortalare il momento in cui Ugolino ha piena consapevolezza del tragico destino di morte che attende i suoi figli e, riconosciuto il suo stesso aspetto sui quattro volti infantili, si morde le mani per la rabbia e il dolore: "Ambo le man per lo dolor mi morsi". Carpeaux realizza questo gruppo scultoreo dal 1857 al 1861 e, contravvenendo alle norme accademiche che imponevano una o al massimo due figure e un soggetto tratto dall'Antichità o dalle Sacre Storie, ha preferito "dare voce alle passioni più violente e unire a queste la tenerezza più delicata", come confida in una lettera ad un amico. Ognuno dei quattro bambini, con la posizione e l'espressione del volto, rappresenta una tappa verso la morte. Di straordinaria intensità e drammaticità è l'espressione di dolore e di angoscia del padre, evidente nelle contratture del viso, delle mani e dei piedi, nel modellato nervoso del corpo e della schiena.
Auguste Rodin, Il conte Ugolino, 1882-1906, Parigi, Musée d'Orsay.
Rodin sosteneva che La Divina Commedia non lo abbandonava mai: lo scultore, infatti, ne teneva sempre una copia in tasca. In quest'opera Rodin illustra uno dei momenti più cruenti della vicenda del conte Ugolino, che, dopo aver assistito inerme alla morte dei suoi congiunti, stremato dalla fame, si ciba delle loro carni per poi soccombere lui stesso.
"Magro, emaciato, con le costole che gli sporgono fuori pelle […], la bocca vuota e le labbra spossate dalle quali sembra fuoriuscire […] una bava da belva affamata, striscia, come una iena che ha disseppellito una carogna, sui corpi dei suoi figli le cui braccia e le cui gambe inerti penzolano qua e là nell'abisso" (Octave Mirbeau, scrittore e critico d'arte francese). La drammaticità è accentuata dal vuoto centrale intorno al quale è costruita la figura, dai corpi disarticolati e deformati dei fanciulli.
Fonti:
Francesca Pellegrino, Federico Poletti, Episodi e personaggi della letteratura, Electa, 2004.
http://www.musee-orsay.fr/it/collezioni/opere-commentate/scultura/


LETTERATURA E ARTE: CARAVAGGIO E GLI SCRITTORI
Caravaggio, Galilei e Manzoni: 
rivoluzionari a confronto
di Raffaella Di Meglio

Caravaggio, Incredulità di San Tommaso
1600-1601,olio su tela
Bildergalerie, Potsdam (Germania)
Un filo rosso unisce il genio maledetto di Caravaggio a due talenti dell'universo culturale e letterario italiano ed europeo: Galileo, suo contemporaneo, e Manzoni
. Tante, talvolta sorprendenti sono le corrispondenze tra di loro. Coraggiosi innovatori nei loro rispettivi campi, furono capaci di rivoluzionare linguaggi e ideologie, di sfidare privilegi, pregiudizi, censure, autoritarismi. Cultori del vero, del reale e della dimensione visiva, con le loro scelte innovative vollero raggiungere il maggior numero possibile di persone e si dedicarono con passione e rigore a una missione difficile e rischiosa nelle loro rispettive epoche: quella di illuminare le menti, svegliare le coscienze, scuoterle dalla pigrizia o dall'ignoranza, regalare alla gente la conoscenza e la bellezza, e, per dirla con Manzoni, "rendere in questo modo le cose un po' più come dovrebbono essere".
Proviamo dunque a dipanare questo filo rosso e a immergerci in una vicenda appassionante in cui si intrecciano scienza, pittura, letteratura, fede.

(I link rimandano alle due parti dell'articolo pubblicate sul sito Letteratour)


LETTERATURA E NATURA
Piccolo omaggio letterario 
(e non solo) agli alberi
di Raffaella Di Meglio

Gustave Klimt, L'albero della vita 
(dettaglio), 1909
Gli alberi sono onnipresenti nella nostra vita
, non solo nei giardini delle nostre case, lungo le strade e nei parchi delle nostre città, nei boschi delle nostre montagne, ma anche e soprattutto nascosti sotto mentite spoglie. Infinite sono le metamorfosi a cui li sottoponiamo, per questo spesso ci dimentichiamo che all'origine ci sono proprio loro. Ci serve ancora qualcuno che ci regali un nuovo sguardo sulle cose, che ci faccia ritornare al “segreto” dell'albero. Sì, perché ci vuole ancora un albero per fare i nostri tavoli, i nostri arredi, le nostre imbarcazioni, le pagine dei nostri libri, la carta dei nostri disegni e dei nostri spartiti, la nostra musica, la legna dei nostri fuochi, per fare alimenti, medicinali, cosmetici, profumi e tanto altro.
C'è voluta una tragica epidemia che ci toglie il respiro per ricordarci quello che forse dimentichiamo più spesso: ci vuole ancora un albero per produrre l'ossigeno.
Gli alberi respirano come noi. Gli alberi ci aiutano a respirare. Gli alberi ci aiutano a vivere. Lo sappiamo da sempre. Ce ne dà conferma la storia dell'arte, in cui il connubio tra albero e vita ha trovato espressione fin dagli albori della nostra civiltà attraverso l'immagine simbolica dell'albero della vita. Lo sappiamo da sempre, ma è un sapere che rischiamo di perdere, insieme al rispetto per questo nostro compagno e donatore di vita. Poeti e scrittori ci aiutano a ritrovare lo sguardo e il sapere sugli alberi. 
Per proseguire la lettura dell'articolo completo, pubblicato sul sito Letteratour, basta ciccare sul link
https://www.letteratour.it/altro/letteratura-e-alberi.asp 

Link ad altri articoli di Raffaella Di Meglio
Letteratura italiana

13 aprile 2013

La poesia e le altre arti: musica e cinema

VERSI IN MUSICA

L'Odissea (sec. VIII a. C.) 
musicata da Vinicio Capossela (2011)
Il cantautore Vinicio Capossela interpreta l'Odissea nel suo album Marinai, profeti e balene (2011), ispirato alla letteratura di mare (Omero, Melville, Conrad). Pianoforti e voce di alcuni brani del disco sono stati registrati sul Castello Aragonese di Ischia, dove è stato appositamente "issato" un pianoforte degli anni Trenta.   "Ironico, sentimentale, straripante nel suo istrionismo, Vinicio Capossela è il più dotato tra i cantautori italiani della sua generazione [...]. Nel 2011, con Marinai, profeti e balene, Capossela [...] si imbarca addirittura in una "Marina Commedia". Opera epica, anzi "ciclopedica", suddivisa in due tomi-cd - "uno oceanico, l'altro omerico e mediterraneo" - in bilico tra musica e letteratura. Un musical teatrale, più che un album, lungo un'ora e mezzo e traboccante 19 canzoni, intrise di miti, poesia e salsedine. Capossela, novello Ulisse, naviga tra vascelli fantasma, sirene, polpi, foche barbute, balene, squali bianchi, madonne delle conchiglie e serafini "con occhi di biglie". Un'odissea letteraria e, inevitabilmente, metafisica, a conferma dell'accresciuta vocazione spirituale del Capossela recente" (Claudio Fabretti in ondarock.it).
Le canzoni che seguono prendono ispirazione da celebri episodi del poema omerico: il lungo soggiorno di Odisseo presso la ninfa Calipso sulla sperduta isola di Ogigia e l'incontro con il gigante Polifemo.
Il mondo incantato di "Calipso":
ritmi caraibici, atmosfere esotiche e ammalianti
L'isola di Ogigia: paradiso terrestre o prigione dorata? Cosa scegliere: la vita eterna in un mondo incantato e protetto o una vita di dolore e sforzo nel mondo reale? Una donna bellissima, seducente ed eternamente giovane o il ritorno alle proprie radici, da una moglie matura e saggia?
Calipso, colei che nasconde/Tra i cristalli di luce/e il labirinto di ombre/ Nel suo giardino d'incanto/non cambia mai stagione/È cinto intorno e la chiave /è nell'ombelico del mare/Rivestitelo ancelle,/imbalsamatelo belle/Qui la corsa è finita/Qui si è incantata la vita/Il vino e l'amore poi ancora l'amore/ il vino e l'amore l'amore ancora/Il tuo abbraccio d'ambrosia mi ha tolto alla strada/mi ha tolto alla strada e la strada dov'è?/Calipso/una stagione sola/nel luccicare del sole/Senza vecchiezza e morte/Senza più sete e fame/Un velo di piacere e sonno mi ha nascosto al mondo/Fermati e non ti agitare/Ti puoi attardare, ti puoi attardare/Nel quadro degli amanti nudi e crudi/Gli amanti ruotano come lancette/nel talamo del letto/Eccoli gli amanti nudi e crudi/E il tempo non passa/Il tuo abbraccio d'ambrosia mi ha tolto alla strada,/Alla notte, alla morte, al freddo e al dolore/mi ha tolto alla strada e la strada dov'è?/Bloccato qui, solo su uno scoglio,/piango la mia anima ospite/Il mare è una cintura di spine,/che cinge la vita del giorno, che cinge il ritorno/Preferisco tornare allo sforzo e al dolore,/tornare a penare/e indietro lasciare/il riparo accudito dal bene di un dio,/di un paradiso che non è il mio/Sembrava eterno/presente, ma è già dietro le spalle/Però domani.../Per oggi ancora un poco di/Calipso/Mi ha già ripreso l'incanto/solo di giorno è il pianto/la notte scioglie le ore/Partita anche l'ultima nave/nessuno mi può più trovare/nessuno mi può più trovare.
Polifemo ubriaco in "Vinocolo":
ritmi sincopati, atmosfere tetre e "cavernose"
Il neologismo ideato da Capossela per dare il titolo al brano ("Vinocolo") suggerisce l'originalità dell'interpretazione del cantautore, che ha scelto di assumere il punto di vista insolito del Ciclope: Polifemo, stordito dal vino astutamente offertogli da Odisseo, si lascia andare ad un delirante monologo...


"Cantico di Frate Sole" (1224)
musicato da Angelo Branduardi (2000)
"Francesco d'Assisi è un uomo che sceglie la gioia di vivere, la raccomanda ai suoi discepoli, ama la povertà mai disgiunta dalla letizia. Per questo sento la sua figura, fragile e straordinariamente vigorosa, più che mai viva nel contesto delle passioni e dei problemi contemporanei: la povertà, la malattia, l'emarginazione, l'ecologia, l'atteggiamento di fronte all'altro, la guerra. Francesco d'Assisi è anche grande poeta; amava cantare e lo faceva spesso, anche da solo. Per accompagnare il suo Cantico delle Creature, Francesco compose una musica che è andata perduta; io ho provato a ridare voce alle sue parole perché si possa di nuovo cantarle." Angelo Branduardi (dall'album L'infinitamente piccolo, 2000).
"Quello di Angelo Branduardi, ormai, è uno dei marchi doc della musica italiana. Con le sue ballate medievali e i suoi testi aulici, infatti, il musicista lombardo è l’indiscusso “menestrello” del nostro cantautorato. In quasi trent’anni di musica, è riuscito a trapiantare nella canzone italiana la sua predilezione per il fiabesco, che attinge dal repertorio delle leggende popolari, soprattutto francesi, ma anche tedesche, inglesi, irlandesi, ebraiche. [...] Nel 1999 esce L'infinitamente piccolo, un disco interamente dedicato a San Francesco. L’album [...] è la traduzione in musica di scritti ed episodi della vita di San Francesco, tratti direttamente dalle Fonti Francescane." (Claudio Fabretti, in ondarock.it).

"S'i fosse foco" di Cecco Angiolieri (fine sec. XIII)
 musicato da Fabrizio De André (1968)
Il senese Cecco Angiolieri (1260 ca. -1312 ca.), contemporaneo di Dante, autore di poesie vivaci, canzonatorie e irriverenti, è un esponente di spicco del genere comico-parodico medievale. Suo è il celebre sonetto S'i fosse foco, tanto moderno per il gusto beffardo della protesta, che fu riproposto nel “caldo” 1968 in un suggestivo adattamento musicale (un'ironica giava) dal cantautore Fabrizio De André, affascinato dalla carica anticonformista e provocatoria del sonetto.
"Fabrizio De André è uno dei capisaldi della canzone d'autore italiana; è stato tra i primi a infrangere i dogmi della "canzonetta" italiana, con le sue ballate cupe, affollate di anime perse, emarginati e derelitti d'ogni angolo del mondo. Il suo canzoniere universale attinge alle fonti più disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". De André usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere" (Claudio Fabretti in ondarock.it).  


POESIA E CINEMA
Quale sarà il tuo verso?
"Parole e idee possono cambiare il mondo. Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita." (John Keating)

Scena tratta dal film L'attimo fuggente (titolo originale Dead Poets Society, USA, 1989). Nell'autunno 1959 all'Accademia Welton, una scuola elitaria e conformista ubicata sulle colline del Vermont, i metodi insoliti di un nuovo insegnante di materie umanistiche, John Keating, sono considerati con timore e sospetto dal preside Nolan e dalle famiglie. Keating affascina la sua classe non solo con la sua intelligenza e simpatia, ma anche con le sue novità pedagogiche e le sue iniziative divertenti e stravaganti. Lo seguono con interesse particolare sette allievi, che fondano la "Società dei Poeti Estinti" e di notte lasciano spesso l'Accademia per riunirsi in una grotta e recitare versi, propri ed altrui. I sette giovani vivono così una loro specialissima stagione, fervida di scoperte ed entusiasmi. Ma i metodi del professor Keating e le azioni dei suoi allievi si scontrano con il conformismo e la serietà che sempre hanno regnato a Welton ... (Descrizione tratta da www.lafeltrinelli.it).

Le metafore
"A me mi piaceva pure quando avete detto sono stanco di essere uomo, perché è una cosa che pure a me mi succede, però non lo sapevo dire" (Mario)                             
  "Quando la spieghi, la poesia diventa banale. Meglio di ogni spiegazione è l'esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia a un animo predisposto a comprenderla." (Pablo Neruda)

Scena tratta dal film Il postino (Italia, 1994). Nel 1948 il poeta cileno Pablo Neruda è in esilio in un'isoletta nel sud Italia. Mario (interpretato da Massimo Troisi), disoccupato figlio di un pescatore, accetta l'incarico di postino ausiliario per consegnare la posta al poeta. A poco a poco Mario impara ad amare la poesia e i due diventano amici. Grazie alla sua arte il poeta aiuterà Mario a conquistare la bella Beatrice della quale è innamorato. (Descrizione tratta da www.ibs.it). 

13 aprile 2012

La forza delle parole: discorsi celebri

I discorsi di Robert Kennedy 
Robert Francis Kennedy, chiamato Bob o affettuosamente Bobby (Brooklyn, 20 novembre 1925 – Los Angeles, 6 giugno 1968), è stato un politico statunitense, fratello del presidente U.S.A. John Fitzgerald Kennedy. Oppositore della guerra in Vietnam e fervente sostenitore dei diritti civili, si presentò alle elezioni presidenziali del 1968 come candidato del Partito Democratico. Morì in seguito ad un attentato all'indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie in California e Dakota del Sud.
Discorso sul PIL
"Il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta" (18 marzo 1968)
I limiti del PIL nelle illuminanti parole di Robert Kennedy tratte dal suo discorso del 18 marzo 1968, tenuto alla Kansas University.

Discorsi in morte di Martin Luther King
Bob Kennedy pronunciò due celebri discorsi in occasione dell'assassinio di Martin Luther King avvenuto il 4 aprile 1968, pochi mesi prima che lo stesso Kennedy trovasse la morte per mano di un attentatore e quattro anni dopo il riconoscimento del premio Nobel per la pace al pastore protestante per il suo impegno a favore dei diritti civili dei neri attraverso la resistenza non violenta.

 "Ciò di cui abbiamo bisogno non è odio, non è violenza e rifiuto della legge, ma amore, saggezza, compassione" 
(Indianapolis, 4 aprile 1968) 
Bob Kennedy annuncia la morte di Martin Luther King.

Il 4 aprile 1968, giorno dell'assassinio di Martin Luther King a Memphis, Robert Kennedy, in corsa per la presidenza, deve parlare in un sobborgo afroamericano di Indianapolis. I suoi assistenti, temendo lo scoppio di disordini e violenze, gli consigliano di annullare il suo intervento, ma Kennedy decide di andare e di dare lui stesso la notizia, improvvisando un discorso destinato a diventare storico. 

 "Coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, e condividono con noi lo stesso breve istante di vita" 
(Cincinnati, 5 aprile 1968)
Discorso sulla violenza pronunciato il 5 aprile 1968 a Cincinnati, il giorno dopo l'assassinio di Martin Luther King.
  

"I have a dream" 
(Martin Luther King, Washington, 28 agosto 1963)

Lo stesso Martin Luther King il 28 agosto 1963 aveva pronunciato il suo più memorabile discorso, considerato il più influente discorso politico dell'America contemporanea. 
Il discorso fu pronunciato di fronte a una folla di 250.000 persone al Lincoln Memorial di Washington, in occasione della storica "marcia per lavoro e libertà" organizzata per chiedere l'approvazione della legge per la parità dei diritti civili per bianchi e neri:



L'evento fu un successo e rappresentò il trionfo dei metodi non violenti di King, tanto che l'anno dopo, nel 1964,  fu approvato il Civil Rights Act sul diritto di voto e a King fu assegnato il premio Nobel per la pace.
Martin Luther King (Atlanta, 15 gennaio 1929 - Memphis, 4 aprile 1968) è stato un pastore protestante, politico e attivista, leader dei diritti civili, appassionato fautore della resistenza non violenta. Fu ucciso da un colpo di fucile che lo raggiunse sul balcone di un motel di Memphis.

 
"Stay hungry, stay foolish" 
(Steve Jobs, Stanford, 12 giugno 2005)

Steven Paul Jobs (California, 1955-2011) è stato un imprenditore, informatico e inventore statunitense. Cofondatore di Apple, è noto al grande pubblico per aver introdotto il primo personal computer con mouse e per prodotti di successo, quali Machintosh, iPad, iPod, iPhone.
Il 12 giugno 2005 Steve Jobs rivolse agli studenti neolaureati della prestigiosa università di Stanford un celebre discorso che è stato definito il suo testamento alle generazioni future.
 



La forza delle parole, il coraggio degli scrittori


"Il potere ha paura delle parole" 

(Roberto Saviano)
In una libreria di Bari Roberto Saviano racconta la forza delle parole e la magia dell'empatia suscitata dalla lettura attraverso la storia di due coraggiose scrittrici russe di nome Anna: la poetessa Anna Achmatova (1889-1966), vittima della censura nella Russia di Stalin, e la giornalista e attivista per i diritti umani Anna Politkovskaja (1958-2006), vittima dell'autoritarismo nella Russia di Putin.


"Con la fantasia rompo i muri della mia galera" 
(Ahmet Altan)

Ahmet Altan è un giornalista e scrittore turco, nato ad Ankara nel 1950. Ex direttore del quotidiano "Taraf", critico nei confronti del presidente Erdogan, è stato liberato di recente dopo essere stato incarcerato nel suo paese dal 2016 per reati di opinione. Nel 2018 è stato condannato all’ergastolo al termine di un processo-farsa con l’accusa di aver diffuso “messaggi subliminali” a favore del tentato colpo di stato del luglio 2016. Per la sua liberazione, avvenuta nell'aprile 2021, si sono mobilitati scrittori e intellettuali in tutto il mondo. I suoi romanzi e saggi hanno venduto milioni di copie, e sono stati premiati in Turchia e all’estero. 
Ecco un suo articolo scritto durante la detenzione nel 2017:
«Sì, sono detenuto in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla. Sì, mi trovo in una cella dove la porta viene aperta e chiusa con uno sferragliare di chiavi. Sì, ricevo i miei pasti attraverso un buco in mezzo alla porta. Sì, anche la parte superiore del piccolo cortile lastricato dove cammino su e giù è chiusa da gabbie d’acciaio. Sì, non mi è permesso di vedere nessuno a parte il mio avvocato e i miei figli. Sì, mi è vietato perfino inviare una lettera di due righe ai miei cari. Sì, ogni volta che devo andare in ospedale tirano fuori delle manette da un mucchio di ferri e me le mettono ai polsi. Sì, ogni volta che mi portano fuori dalla mia cella gridano «alza le braccia, togliti le scarpe» e me lo urlano in faccia.
Tutto questo è vero, ma non è l’intera verità. Nelle mattine d’estate, quando i primi raggi di sole passano attraverso le nude finestre a sbarre e colpiscono il mio cuscino come delle lance scintillanti, sento i canti giocosi degli uccelli di passaggio che hanno fatto il loro nido sotto le grondaie del cortile. Vivo con la sensazione di abitare ancora in quella casa con giardino dove ho trascorso la mia infanzia.
Quando mi sveglio con la pioggia autunnale che colpisce le sbarre della finestra, con la furia dei venti del nord, comincio la giornata sulle rive del Danubio in un albergo con delle torce sulla facciata che vengono accese ogni notte. Quando mi sveglio con il sussurro della neve che si accumula tra le sbarre della finestra d’inverno, inizio la giornata in quella dacia con una finestra sul davanti dove si rifugiò il dottor Zivago. Finora, non mi sono mai svegliato in prigione – nemmeno una volta. Di notte, le mie avventure sono ancora più cariche di azione. Giro tra le isole della Thailandia, gli alberghi di Londra, le strade di Amsterdam, i labirinti segreti di Parigi, i ristoranti sul lungomare di Istanbul, i piccoli parchi nascosti tra le strade di New York, i fiordi della Norvegia, le piccole città dell’Alaska con le loro strade sepolte dalla neve. Mi potete incontrare lungo i fiumi dell’Amazzonia, sulle rive del Messico, nelle savane africane. Parlo tutto il giorno con persone che nessuno vede o sente, persone che non esistono e non esisteranno fino al giorno in cui le menzionerò. Le ascolto mentre parlano tra di loro. Vivo i loro amori, le loro avventure, le loro speranze, le loro preoccupazioni e le loro gioie. A volte rido mentre cammino in cortile, perché mi capita di sentire le loro conversazioni piuttosto divertenti. Poiché non voglio metterli sulla carta in prigione, incido tutto ciò in qualche angolo della mia mente con l’inchiostro scuro della memoria. So che sarò un uomo schizofrenico finché queste persone rimarranno nella mia mente. So anche che sono uno scrittore quando queste persone si ritrovano in certe frasi sulle pagine di un libro. Mi piace fare avanti e indietro tra schizofrenia e scrittura
Mi libro come fumo e lascio la prigione con le persone che esistono nella mia mente
Forse hanno il potere di imprigionarmi, ma nessuno ha il potere di tenermi in prigione.
Sono uno scrittore. Non sono né dove sono né dove non sono. Ovunque mi rinchiudano, viaggerò per il mondo con le ali della mia mente infinita. Inoltre, ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare, molti dei quali non ho mai conosciuto. Ogni occhio che legge quello che ho scritto, ogni voce che ripete il mio nome, mi tiene per mano come una piccola nuvola e mi fa volare sulle pianure, le sorgenti, le foreste, i mari, le città e le loro strade.
Mi ospitano silenziosamente nelle loro case, nelle loro sale, nelle loro stanze. Viaggio in tutto il mondo nella cella di una prigione.
Ho un’immunità protetta dall’armatura di acciaio dei miei libri. Scrivo nella cella di una prigione. Ma non sono in prigione. Sono uno scrittore. Non sono né dove sono né dove non sono. Mi si può imprigionare, ma non tenermi in prigione. Perché, come tutti gli scrittori, possiedo una magia. So attraversare i muri con facilità.
Ridotto da Da "La Repubblicadel 27 settembre 2017 (traduzione di Luis E. Moriones)



In relazione al tema "La forza delle parole" vedi anche il post "Il mondo salvato dai ragazzini" (discorsi di Malala Yousafzai e Greta Thunberg) e quello sulla Costituzione italiana (discorso di Piero Calamandrei) nella sezione "Cittadinanza e Costituzione".